Finisco di vedere per l'ennesima volta Mamma Roma e stavolta c'è qualcosa in più oltre il consueto groppo in gola ad accompagnare gli ultimi istanti del film. Non si tratta solo della sorpresa per il restauro che rende onore allo splendido bianco e nero di Peppino Rotunno e illumina di luce nuova la Roma che Anna Magnani guarda disperata dalla finestra nel finale: è piuttosto la consapevolezza che, in fondo, non sia poco quello che lega l'eredità morale di Pier Paolo Pasolini al patrimonio ideale ed economico di Silvio Berlusconi. Certo, la Medusa si è fatta carico del restauro e Rete4 - la rete che secondo taluni dovrebbe andare sul satellite per lasciare spazio a Dario Vergassola - lo manda in onda. Ma è un legame più profondo, qualcosa che rende B. l'ultimo eroe pasoliniano e il suo popolo l'unico ancora animato da quella disperata vitalità cantata dal poeta di Casarsa. Nei film e nelle pagine di PPP c'è quella fame di vita che difficilmente si potrebbe trovare negli smunti visi che affollano le indignatissime photogallery di Repubblica. É la fame del popolo delle libertà, quello che non si vergogna a parlare dialetto e che vent'anni di notti bianche e omologazione veltroniana non sono riusciti a corrompere. Sono i ragazzi di vita che da Maria De Filippi sudano, amano, ammiccano, godono, sognano. É la gente che ama il calcio e sa che quello vero e serio è narrato da Tiziano Crudeli e dai maverick delle tv private, non da Soriano e la sua compiaciuta malinconia.
É sul terreno della cosiddetta “politica culturale” che si rilevano le maggiori affinità. A renderlo evidente è Alessandro Baricco, ministro ombra del PD, che in un articolo su Repubblica qualche mese or sono espose la brillante idea di tagliare le risorse destinate a musei, teatri e fiere per rimpinguare le casse di scuola e televisione. L'esatto contrario di quel che PPP auspicava in Lettere luterane: scuola e tv pubblica vanno abolite.«La televisione, e forse ancora peggio la scuola d’obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie» scrisse – e senza volerlo fornì una chirurgica descrizione dei blogger di Fondazione Daje. Mentre la "buona borghesia" concede paternalisticamente la cultura al popolo, Pasolini e Berlusconi sanno che il popolo stesso è depositario di una cultura millenaria e non arretrano davanti alle minacce del politically correct che vuole gli storpi “diversamente abili” e i cibi grassi espulsi da ogni mensa. Lo stesso vale per i diversi: gli uomini-sessuali non sono, come pretenderebbero i grandi apparati delle sinistre, cittadini come tutti gli altri ma gli Efesto della nuova estetica berlusconiana: provate a pensare ai rotocalchi di Signorini, ai programmi tv scritti da Peppi Nocera, alla barbarie mediterranea elevata a stile da Dolce & Gabbana. Per questo Silvio e Pier Paolo l'hanno pagata e continuano a pagarla cara, bersagliati - altra coincidenza - dalla medesima accusa: “atti immorali a danno di minore”. Ne siamo certi, se fosse vivo Pasolini difenderebbe il Cav. come a suo tempo fece con Braibanti.
Ora che il berlusconismo sembra al tramonto ci piace pensare a Salò, l'opera terminale di Pasolini. In una splendida villa, mentre fuori infuria la guerra civile, un circolo di illuminati mette in scena le fantasie più sfrenate: è la folie Berlusconi, il trailer di tutti i festini a venire: e se nell'adorato Stendhal la Certosa era il luogo della rinuncia, Villa Certosa è il posto dove sognare un'Italia slegata dalle redini del cattocomunismo, dove la potenza del danaro trova spazio per esprimersi e rigenerare il mondo a immagine e somiglianza dei propri desideri.
Non si esce da Salò, Pasolini non è più uscito. Oggi forse regalerebbe Alì dagli occhi azzurri alla Lega e continuerebbe la sua battaglia contro aborto e divorzio dalle colonne del Foglio. Di sicuro non scriverebbe più sul Corriere della Sera, anche perché a dirigerlo c'è quel Ferruccio De Bortoli che in una memorabile puntata di Porta a Porta si indignò con Berlusconi perché aveva osato farsi ritrarre in foto con un ragazzino la cui sola colpa era portare una maglietta con la scritta “Song 'e Napule”. «Preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l'ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana (...) Considero anche l'imbroglio uno scambio di sapere. Un giorno mi sono accorto che un napoletano, durante un'effusione di affetto, mi stava sfilando il portafoglio: gliel'ho fatto notare, e il nostro affetto è cresciuto». Certa borghesia ha ancora paura della Napoli vitale e fuori dalla Storia del Decameron.
«Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. È ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti» scrisse il poeta rivolgendosi ai Radicali, poco prima di essere ucciso. E fu frainteso. Berlusconi invece lo prese alla lettera, fino alle estreme conseguenze, fino a scardinare il fascimo dell'antifascismo attraverso un rassemblement pour la deuxième république che ha saputo parlare al popolo di Predappio e a quello di Padre Pio, ai sottoproletari e agli analfabeti, agli avanzi di galera e alle partite IVA. Fino a scandalizzare la sinistra pacifinta che scenderebbe a patti con Bin Laden ma alla cosiddetta mafia, forza del passato, riserva solo e sempre dichiarazioni di guerra. Perché è necessario «dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare».
1 commento:
si ma lo splendido bianco e nero di Mamma Roma è di Tonino Delli Colli, non di Peppino Rotunno !! Cmq onore ad entrambi!
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