giovedì 24 dicembre 2009

Fare Futurismo

Mi sia consentito rivolgere i miei più affettuosi auguri ai "camerati che sbagliano", i ragazzi della Fondazione Fare Futuro. La loro trepidante scoperta degli ultimi ritrovati della filosofia politica somiglia a quella di un ragazzino che si avvicina oggi ai videogame grazie a Tetris. Vogliano quindi gradire in regalo questo generatore automatico di titoli per il Fare Futuro Magazine. Basta fare F5 e l'elaboratore tirerà fuori un nuovo interessantissimo spunto.
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mercoledì 23 dicembre 2009

lunedì 14 dicembre 2009

sabato 5 dicembre 2009

Tucson, Arizona, 23 febbraio 1958

"Tucson, Arizona, 23 febbraio 1958, chiesa Ss. Pietro e Paolo, John Fitzgerald Kennedy è seduto ad ascoltare la messa vicino a Joseph Bonanno, nato a Castellammare del Golfo nel 1905, approdato illegalmente in America grazie a una rocambolesca traversata, in quegli anni uno dei membri più autorevoli del Gran consiglio di Cosa nostra, prima che scoppiassero le faide interne a causa dei giovani “che non capivano tradizioni e codici d’onore della mafia, e che non disdegnavano rapimenti, omicidi, violenze di ogni tipo”. Sembrerò banale, ma io me li vedo con il sole che entra da un’alta vetrata e attraverso il pennello di Edward Hopper. Probabilmente, i due avrebbero guardato in alto, cosa che nei quadri di Hopper non succede mai.
Cos’erano i Kennedy? Irlandesi disposti a tutto per raggranellare qualche soldo da spendere in campagna elettorale? Oppure gente che aveva in mente un progetto? “Non negoziamo mai per timore, ma neppure temiamo mai di negoziare”, disse nel primo discorso da presidente.
Se un progetto non c’era allora la vita è passata e ci ha semplicemente raccontato una bella e tragica storia. Ma se il progetto c’era allora sappiamo anche dove si è interrotto: nell’amministrazione della giustizia, ministro della quale diventò il fratello, Bob, sul quale continuano a raccontare tante malignità, al posto di ricordarne la poetica ingenuità.
Si ricorda, direttore? “Un mattino aprirò la porta principale della casa di Georgetown, più o meno alle due, guarderò prima a destra e poi a sinistra, e, se non ci sarà nessuno in giro, sussurrerò: è Bobby”.
“Il problema della criminalità organizzata è diventato sempre più serio, negli ultimi dieci anni”. Questo disse Bob. Bisognerebbe ripeterglielo all’infinito, a quei babbei che ancora parlano di complesso edipico e di omicidio simbolico attraverso la persecuzione degli ex alleati del padre, con i quali la famiglia Kennedy aveva fatto affari durante il proibizionismo. “Negli ultimi dieci anni”. Possiamo stare qui ore a cercare di capire se la differenza tra mafia e criminalità organizzata esiste davvero, se è soltanto una speranza dei siciliani. Potrei anche sostenere che si tratta di una fesseria che mi sono inventato io. Ma resta il fatto che Bob Kennedy quelle parole le pronunciò. Non disse “mafia”, disse “criminalità organizzata”. E aggiunse: “negli ultimi dieci anni”. E’ nel passaggio tra la vecchia mafia e la nuova criminalità organizzata che sta racchiuso il mistero e l’errore di Bob e della famiglia. Fu ingenuamente poetico negoziare con la vecchia mafia, e al contempo perseguire il nuovo crimine organizzato attraverso gli strumenti della giustizia pubblica. Forse avrebbe dovuto lasciare fare a Bonanno, che è vero, sbagliò due omicidi, ma morì a 97 anni nella sua casa, in compagnia dell’affetto dei suoi due amati dobermann. Eppure non era proprio a proposito di Joe Kennedy, quando fu nominato alla Security and Exchange Commission, che Roosevelt disse “soltanto un aguzzino può smascherare un altro aguzzino”?
Quale fu l’errore? Glielo dico con l’immagine di prima: torniamo in chiesa. E’ il 23 febbraio 1958, è mattina, la giornata è luminosa, un raggio di sole entra da un’alta vetrata illuminando il taglio dei loro vestiti, tengono il cappello in mano, tra le ginocchia. Non confabulano, non tramano, non si scambiano una parola. Annuiscono assorti. Tutto quello che c’era da dirsi lo sta dicendo, in questo momento, il prete sull’altare. C’è anche Edward Hopper, in piedi, in fondo alla chiesa, appoggiato al muro, le braccia conserte, sta pensando di farci un quadro. A un certo punto il prete dice: “A tutti deve essere consentito di entrare nel Regno del Signore”. Hopper ha un sussulto, guarda il prete, sorride, poi torna a voltarsi verso JFK e Bonanno. Niente.
Sono ancora assorti. Vicini e assorti. Hopper controlla l’orologio, fa un gesto con la testa, come se volesse farsi scrocchiare l’osso del collo. Mette le mani in tasca e se ne va come è venuto. No, niente quadro, il quadro è rimandato. Manca qualcosa in quella scena. Lo ha detto il prete: “A tutti deve essere consentito di entrare nel Regno del Signore”. L’unico che ci ha fatto caso è stato un pittore, un pittore che ha rimandato il quadro perché la scena non era ancora completa. Mancava qualcuno su quella panca. Mancava la nuova criminalità organizzata. Hopper avrebbe continuato a dipingere uomini con la testa chinata verso il basso. Mancavano “gli ultimi dieci anni”. Il futuro di quest’isola si incrocia con il passato dei Kennedy." *

sabato 21 novembre 2009

Popopopopopopo

"Ingannare l'arbitro è un diritto inalienabile del calciatore, come scamparla ai giudici è un diritto di ogni cittadino. Il Quinto emendamento in America vieta di autoaccusarsi, in Francia non sappiamo: ma se Henry avesse confessato al giudice, come chiesto dal Trap, ci sarebbe poi tornato a casa? C'è una zona grigia, nella vita e nel pallone, che è la mano del destino. E meno male."
Giuliano Ferrara, il Foglio 21.11.2009

domenica 15 novembre 2009

Compagni che ci azzeccano

"Sarebbe bene sapere una volta per tutte se è meglio continuare a cercare di civilizzare il far west e lasciar fare chi lo rappresenta con un'ambiguità ineliminabile. Oppure mettere in mora i diritti civili, in tre regioni, forse in quattro, sradicare e deportare fette di popolazione. Tertium non datur"
Lanfranco Pace, il Foglio 14.11.2009

giovedì 5 novembre 2009

Una disperata vitalità: B. ultimo eroe pasoliniano

Finisco di vedere per l'ennesima volta Mamma Roma e stavolta c'è qualcosa in più oltre il consueto groppo in gola ad accompagnare gli ultimi istanti del film. Non si tratta solo della sorpresa per il restauro che rende onore allo splendido bianco e nero di Peppino Rotunno e illumina di luce nuova la Roma che Anna Magnani guarda disperata dalla finestra nel finale: è piuttosto la consapevolezza che, in fondo, non sia poco quello che lega l'eredità morale di Pier Paolo Pasolini al patrimonio ideale ed economico di Silvio Berlusconi. Certo, la Medusa si è fatta carico del restauro e Rete4 - la rete che secondo taluni dovrebbe andare sul satellite per lasciare spazio a Dario Vergassola - lo manda in onda. Ma è un legame più profondo, qualcosa che rende B. l'ultimo eroe pasoliniano e il suo popolo l'unico ancora animato da quella disperata vitalità cantata dal poeta di Casarsa. Nei film e nelle pagine di PPP c'è quella fame di vita che difficilmente si potrebbe trovare negli smunti visi che affollano le indignatissime photogallery di Repubblica. É la fame del popolo delle libertà, quello che non si vergogna a parlare dialetto e che vent'anni di notti bianche e omologazione veltroniana non sono riusciti a corrompere. Sono i ragazzi di vita che da Maria De Filippi sudano, amano, ammiccano, godono, sognano. É la gente che ama il calcio e sa che quello vero e serio è narrato da Tiziano Crudeli e dai maverick delle tv private, non da Soriano e la sua compiaciuta malinconia.
É sul terreno della cosiddetta “politica culturale” che si rilevano le maggiori affinità. A renderlo evidente è Alessandro Baricco, ministro ombra del PD, che in un articolo su Repubblica qualche mese or sono espose la brillante idea di tagliare le risorse destinate a musei, teatri e fiere per rimpinguare le casse di scuola e televisione. L'esatto contrario di quel che PPP auspicava in Lettere luterane: scuola e tv pubblica vanno abolite.«La televisione, e forse ancora peggio la scuola d’obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie» scrisse – e senza volerlo fornì una chirurgica descrizione dei blogger di Fondazione Daje. Mentre la "buona borghesia" concede paternalisticamente la cultura al popolo, Pasolini e Berlusconi sanno che il popolo stesso è depositario di una cultura millenaria e non arretrano davanti alle minacce del politically correct che vuole gli storpi “diversamente abili” e i cibi grassi espulsi da ogni mensa. Lo stesso vale per i diversi: gli uomini-sessuali non sono, come pretenderebbero i grandi apparati delle sinistre, cittadini come tutti gli altri ma gli Efesto della nuova estetica berlusconiana: provate a pensare ai rotocalchi di Signorini, ai programmi tv scritti da Peppi Nocera, alla barbarie mediterranea elevata a stile da Dolce & Gabbana. Per questo Silvio e Pier Paolo l'hanno pagata e continuano a pagarla cara, bersagliati - altra coincidenza - dalla medesima accusa: “atti immorali a danno di minore”. Ne siamo certi, se fosse vivo Pasolini difenderebbe il Cav. come a suo tempo fece con Braibanti.
Ora che il berlusconismo sembra al tramonto ci piace pensare a Salò, l'opera terminale di Pasolini. In una splendida villa, mentre fuori infuria la guerra civile, un circolo di illuminati mette in scena le fantasie più sfrenate: è la folie Berlusconi, il trailer di tutti i festini a venire: e se nell'adorato Stendhal la Certosa era il luogo della rinuncia, Villa Certosa è il posto dove sognare un'Italia slegata dalle redini del cattocomunismo, dove la potenza del danaro trova spazio per esprimersi e rigenerare il mondo a immagine e somiglianza dei propri desideri.
Non si esce da Salò, Pasolini non è più uscito. Oggi forse regalerebbe Alì dagli occhi azzurri alla Lega e continuerebbe la sua battaglia contro aborto e divorzio dalle colonne del Foglio. Di sicuro non scriverebbe più sul Corriere della Sera, anche perché a dirigerlo c'è quel Ferruccio De Bortoli che in una memorabile puntata di Porta a Porta si indignò con Berlusconi perché aveva osato farsi ritrarre in foto con un ragazzino la cui sola colpa era portare una maglietta con la scritta “Song 'e Napule”. «Preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l'ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana (...) Considero anche l'imbroglio uno scambio di sapere. Un giorno mi sono accorto che un napoletano, durante un'effusione di affetto, mi stava sfilando il portafoglio: gliel'ho fatto notare, e il nostro affetto è cresciuto». Certa borghesia ha ancora paura della Napoli vitale e fuori dalla Storia del Decameron.
«Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. È ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti» scrisse il poeta rivolgendosi ai Radicali, poco prima di essere ucciso. E fu frainteso. Berlusconi invece lo prese alla lettera, fino alle estreme conseguenze, fino a scardinare il fascimo dell'antifascismo attraverso un rassemblement pour la deuxième république che ha saputo parlare al popolo di Predappio e a quello di Padre Pio, ai sottoproletari e agli analfabeti, agli avanzi di galera e alle partite IVA. Fino a scandalizzare la sinistra pacifinta che scenderebbe a patti con Bin Laden ma alla cosiddetta mafia, forza del passato, riserva solo e sempre dichiarazioni di guerra. Perché è necessario «dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare».

Appunti eretici, il ritorno

Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da settimane mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che in giro si organizzano convegni di catastrofisti, dopo un’estate in cui le piogge m’hanno impedito di raggiungere non so più quale paese negramente popolato. Dopo un inverno in cui mi è capitato di dover cercare sotto quattordici metri di nevi la mia amata Torpedo. Evidentemente ciò non basta a placare le lagne dei fan del riscaldamento globale. Nell’attesa che vengano tagliati i fondi a questo genere di raduni la mia sola speranza è il buon senso comune, quello che permette alla gente di non piegarsi a stili di vita perdenti ed equo-solidali.
L’altra emergenza è quella delle aggressioni agli uomini-sessuali. Si tratta di episodi terribili, per carità. Ma difficilmente troverete sui grandi quotidiani riflessioni a mente fredda in proposito. Di sicuro non troverete i dati dell‘Istituto Maggie Tatcher. Dopo un puntuale lavoro di “attenzionatura” è emerso che laddove la percentuale di invertiti tende a zero anche le aggressioni contro costoro diminuiscono sensibilmente. Addirittura nelle aree in cui la popolazione è interamente normale questo genere di reati per nulla politically correct tende a scomparire. Qual è la vera causa allora? Non chiedetelo alle anime belle del pluralismo di casa nostra.
Sì, le stesse anime belle del pluralismo che si battono per la libertà di stampa. Raccolgono firme, scendono in piazza. In questi giorni festeggiano l’uscita del Fatto quotidiano, il primo giornale che per essere coerente con la propria linea editoriale è stato impaginato come una lettera minatoria. Per fortuna non sono la maggioranza. All’amico Mario Cervi arrivano ancora lettere questa: “Non riesco a capacitarmi del fatto che si tolleri con tanta leggerezza il proliferare di giornali nuovi, vedi quello di Marco Travaglio, l’uomo più viscido della sinistra disfattista e sempre alla ricerca di nuovi modi per indebolire il premier, vista la continua ascesa dello stesso nel consenso degli italiani. Possibile che l’avvocato Ghedini non riesca a trovare un reato plausibile per la chiusura di queste «vipere» che strisciano con il continuo intento di mordere il premier e causarne la morte politica? Un giornale che palesemente offende e denigra il capo del governo va subito chiuso. Lasciamo poi le critiche a chi è nato per criticare tutti gli avversari politici. Una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione. Possibile che non si riesca a trovare una norma che preveda l’attentato morale al capo del governo? Io credo che l’unica soluzione a questo continuo stillicidio di calunnie sia quello di rispondere con i sistemi usati (che io non approvo) da Putin nei confronti della Georgia, e della Cina nei confronti dei monaci tibetani: «La forza». Dopo una serie di bastonate inflitte a Franceschini, D’Alema, Travaglio, Santoro e Maurizio Mannoni, si vedrebbero subito i risultati, si vedrebbe il ritorno del rispetto nei confronti di Berlusconi.” L’Italia che lavora, insomma, non ci sta. Che senso eleggere un capo del governo se questo può essere soggetto alla critica del primo stronzo che passa per la strada? Con quale serenità potrà mai operare e riformare?
In America grazie a Internet qualcuno si sta svegliando. Mi riferisco ai Billionaires for Wealthcare, un manipolo di volenterosi che non si vergogna del proprio successo. Stanno lottando contro il socialismo Obamaniaco del “più diritti per tutti” e altri incubi ad occhi aperti che minano la libertà d’intrapresa. Impossibile non pensare a quel grande film del/sul ‘68 che fu La notte dei morti viventi di Romero. Gli zombie metafora dei pezzenti livorosi che credono di resuscitare dalla morte sociale elemosinando diritti e un cinema, l’horror moderno, che rade al suolo i miti del culturame progressista.

mercoledì 4 novembre 2009

Crocifisso: una ricetta liberale

C'avevano già tolto la Lira, in tutti i sensi. Ora gli eurolatri tornano all'attacco e in barba alle più elementari regole democratiche puntano a far fuori il crocifisso dalle nostre vite. Ma una miracolosa ricetta liberale arriva in aiuto: privatizzare le pareti scolastiche, mettere all'asta gli spazi in modo che chiunque, Santa Romana Chiesa compresa, possa concorrere all'addobbo e far valere il proprio peso. "Non esiste professione di fede valida che non sia accompagnata dall’obolo di uno scellino".

giovedì 29 ottobre 2009

martedì 27 ottobre 2009

Lolcano

Ogni volta che sento l’enfasi del cronista, raccontare l’ultimo incidente stradale causato da un ubriaco o, peggio ancora, da un drogato al volantemi chiedo:

Ma che differenza c’è tra un incidente causato da un ubriaco ed uno causato da uno sano?

Quando, in entrambi i casi, ci sono dei morti e delle vittime che differenza fa?

Perché contro gli ubriachi e i drogati ci si accanisce di più?

Il teorema dominante recita :

Loro potevano evitare l’incidente non bevendo o non mettendosi alla guida ubriachi”.

E invece gli “altri” , quelli sani che provocano incidenti, no?

Vasco Rossi

Una lezione di garantismo

"Il giudice ha fatto una sentenza. Basta. Chiusa la storia". Libero, Il Giornale, L'Opinione, Liberal e Il Velino dovrebbero valorizzare realtà come Montalto di Castro, scrigno di libertà e diritti umani. C'è molto più da imparare, in termini di civiltà giuridica, dagli umili abitanti di questi piccoli borghi che nei salotti dei sedicenti nipotini del Beccaria.

giovedì 8 ottobre 2009

Sarà contenta Al Qaeda

Ecco dove è andato a finire il danaro pubblico sottratto dalla sinistra pacifinta: proiettili sparati in aria per festeggiare la bocciatura del Lodo Alfano. Accadde in Terra Santa, mercoledì 7 ottobre 2009.

martedì 6 ottobre 2009

Il prezzo della libertà

"E' una vergogna, ma con una semplice raccolta fondi possiamo aiutare il Premier a pagare la sua multa dimostrando al mondo di che pasta siamo fatti: considerando che alle elezioni 2008 gli elettori del centrodestra sono stati 17.064.314 (ed adesso saranno sicuramente aumentati) è sufficiente che ciascuno doni almeno 750.000.000 / 17.064.314 = 43,95 Euro a testa e la sentenza dei giudici politicizzati non avrà alcun effetto. Tenendo conto di tutte le tasse che ci ha tolto, che ci ha permesso di aumentare il valore delle nostre ville del 20% e di rimpatriare il nero pagandoci il 5% mi sembra proprio il minimo che possiamo fare. Ricordatevi che in gioco c'è sempre la libertà ed il rischio del ritorno dei comunisti. Facciamogli vedere che non siamo noi certo noi i morti di fame. Chiedo alla redazione di comunicare il numero di c/c da utilizzare."

Uhguheearrr

lunedì 5 ottobre 2009

Presidente siamo con te

"Non esiste professione di fede valida che non sia accompagnata dall’obolo di uno scellino". Lo ricordava anni fa il vecchio radicale Carandini, ma è vero oggi più che mai. Aderite alla colletta organizzata da Little Mary Street, non lasciamo solo il Presidente.

domenica 4 ottobre 2009

Obama vattene

Era stato eletto per portare i giochi olimpici a Chicago e così non è stato (si legga in proposito la puntuale nota di Jim). La luna di miele di Obama con l'elettorato è ufficialmente conclusa. Dopo aver pagato la sudditanza verso le lobby straccione l'abbronzatissimo Mr Presidente ha solo una via di scampo: dimettersi. Solo così potrà salvare la faccia.

lunedì 28 settembre 2009

E continuate a votare

Tornano gli appunti eretici su Giornalettismo. C'è spazio anche per i Billionaires for Wealthcare.

giovedì 24 settembre 2009

mercoledì 19 agosto 2009

Perché nessuno ha fermato quel Rava?

Basta!1 Se anche voi siete stufi di questi rava party aderite all'apposito gruppo Facebook: è ora di mobilitarci contro questi intrattenimenti che rintronano i nostri giovani con messaggi a base di droga e rilassatezza dei costumi propugnati dai soliti capelloni.

domenica 26 luglio 2009

L'orrore

Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei. Ma non avete il diritto di chiamarmi assassino. Avete il diritto di uccidermi...questo si, avete il diritto di farlo. Ma non avete il diritto di giudicarmi.
Non esistono parole...per descrivere...lo stretto necessario a coloro...che non sanno...cosa significhi l'orrore.
L'orrore!
L'orrore ha un volto...e bisogna essere amici dell'orrore.
L'orrore e il terrore morale ci sono amici. In caso contrario allora diventano nemici da temere, sono i veri nemici.
Ricordo quando ero nelle forze speciali.
Sembra siano passati mille secoli.
Siamo andati in un accampamento per vaccinare...dei bambini.
Andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare.
Allora tornammo al campo.
Quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti quei poveri bambini il braccio vaccinato...stavano li ammucchiate.
Un mucchio...di piccole braccia.
E...mi ricordo...che ho...ho...ho..., io ho pianto, ho pianto come...come una povera nonna.
Avrei voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo neanche io cosa volevo fare.
Ma voglio ricordarmelo, non voglio dimenticarlo mai….. non voglio dimenticarlo mai
E a un certo punto ho capito. E' come se mi avessero sparato, mi avessero sparato un diamante.
Un diamante mi si fosse conficcato nella fronte.
E mi sono detto...Oddio che genio c'era in quell'atto! Che genio!
La volontà di compiere quel gesto.
Perfetto! Genuino! Completo! Cristallino! Puro!
Allora ho realizzato che loro erano più forti di noi perchè riuscivano a sopportarlo, non erano mostri erano uomini.
Squadre addestrate.
Questi uomini avevano un cuore, avevano famiglia, avevano bambini, erano colmi d'amore.
Ma avevano avuto la forza...la forza...di farlo. Se avessi avuto dieci divisioni di uomini così...i nostri problemi sarebbero finiti da tempo.
C'è bisogno di uomini...con un senso morale...e allo stesso tempo...capaci di...utilizzare il loro...primordiale istinto di uccidere. Senza sentimenti, senza passione...senza giudizio, senza giudizio...perchè è il giudizio che ci indebolisce.

lunedì 20 luglio 2009

I professionisti dell'antimafia

Autocitazioni, da servire a coloro che hanno corta memoria o/e lunga malafede e che appartengono prevalentemente a quella specie (molto diffusa in Italia) di persone dedite all'eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono «eroi della sesta»:
1) «Da questo stato d'animo sorse, improvvisa, la collera. Il capitano sentì l'angustia in cui la legge lo costringeva a muoversi; come i suoi sottufficiali vagheggiò un eccezionale potere, una eccezionale libertà di azione: e sempre questo vagheggiamento aveva condannato nei suoi marescialli. Una eccezionale sospensione delle garanzie costituzionali, in Sicilia e per qualche mese: e il male sarebbe stato estirpato per sempre. Ma gli vennero nella memoria le repressioni di Mori, il fascismo: e ritrovò la misura delle proprie idee, dei propri sentimenti... Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere le mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto (...), sarebbe meglio se si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso». (II giorno della civetta, Einaudi, Torino, 1961).
2) «Ma il fatto è, mio caro amico, che l'Italia è un così felice Paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che già se ne è stabilita una in lingua... Ho visto qualcosa di simile quarant'anni fa: ed è vero che un fatto, nella grande e nella piccola storia, se si ripete ha carattere di farsa, mentre nel primo verificarsi è tragedia; ma io sono ugualmente inquieto». (A ciascuno il suo, Einaudi, Torino, 1966).
Il punto focale
Esibite queste credenziali che, ripeto, non servono agli attenti e onesti lettori, e dichiarato che la penso esattamente come allora, e nei riguardi della mafia e nei riguardi dell'antimafia, voglio ora dire di un libro recentemente pubblicato da un editore di Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro: Rubbettino. Il libro s'intitola La mafia durante il fascismo, e ne è autore Christopher Duggan, giovane «ricercatore» dell'Università di Oxford e allievo dì Denis Mack Smith, che ha scritto una breve presentazione del libro soprattutto mettendone in luce la novità e utilità nel fatto che l'attenzione dell'autore è rivolta non tanto alla «mafia in sé» quanto a quel che «si pensava la mafia fosse e perché»: punto focale, ancora oggi, della questione: per chi - si capisce- sa vedere, meditare e preoccuparsi; per chi sa andare oltre le apparenze e non si lascia travolgere dalla retorica nazionale che in questo momento del problema della mafia si bea come prima si beava di ignorarlo o, al massimo, di assommarlo al pittoresco di un'isola pittoresca, al colore locale, alla particolarità folcloristica. Ed è curioso che nell'attuale consapevolezza (preferibile senz'altro - anche se alluvionata di retorica - all'effettuale indifferenza di prima) confluiscano elementi di un confuso risentimento razziale nei riguardi della Sicilia, dei siciliani: e si ha a volte l'impressione che alla Sicilia non si voglia perdonare non solo la mafia, ma anche Verga, Pirandello e Guttuso.
Ma tornando al discorso: non mi faccio nemmeno l'illusione che quei miei due libri, cui i passi che ho voluto ricordare, siano serviti - a parte i soliti venticinque lettori di manzoniana memoria (che non era una iperbole a rovescio, dettata dal cerimoniale della modestia poiché c'è da credere che non più di venticinque buoni lettori goda, ad ogni generazione un libro) - siano serviti ai tanti, tantissimi che l'hanno letto ad apprender loro dolorosa e in qualche modo attiva coscienza del problema: credo i più li abbiano letti, per così dire, «en touriste», allora; e non so come li leggano oggi. Tant'è che allora il «lieto fine» - e se non lieto edificante - era nell'aria, per trasmissione del potere a quella cultura che, anche se marginalmente, lo condivideva: come nel film In nome della legge, in cui letizia si annunciava nel finale conciliarsi del fuorilegge alla legge.
Ed è esemplare la vicenda del dramma La mafia di Luigi Sturzo. Scritto, nel 1900, e rappresentato in un teatrino di Caltagirone, non si trovò, tra le carte di Sturzo, dopo la sua morte, il quinto atto che lo, completava; e lo scrisse Diego Fabbri, volgarmente pirandelleggiando e, con edificante conclusione. Ritrovati più tardi gli abboni di Sturzo per, il quinto atto, si scopriva la ragione per cui la «pièce» era stata dal, suo autore chiamata dramma (il che avrebbe dovuto essere per Fabbri, avvertimento e non a concluderla col trionfo del bene): andava a finir, male e nel male, coerentemente a quel che don Luigi Sturzo sapeva e, vedeva. Siciliano di Caltagirone, paese in cui la mafia allora soltanto, sporadicamente sconfinava, bisogna dargli merito di aver avuto, chiarissima nozione del fenomeno nelle sue articolazioni, implicazioni e, complicità; e di averlo sentito come problema talmente vasto, urgente e, penoso da cimentarsi a darne un «esempio» (parola cara a san Bernardino), sulla scena del suo teatrino. E come poi dal suo Partito Popolare sia, venuta fuori una Democrazia Cristiana a dir poco indifferente al, problema, non è certo un mistero: ma richiederà, dagli storici, un'indagine e un'analisi di non poca difficoltà. E ci vorrà del tempo; almeno quanto ce n'è voluto per avere finalmente questa accurata, indagine e sensata analisi di Christopher Duggan su mafia e fascismo.
Nel primo fascismo
L'idea, e il conseguente comportamento, che il primo fascismo ebbe nei riguardi della mafia, si può riassumere in una specie di sillogismo: il fascismo stenta a sorgere là dove il socialismo è debole: in Sicilia la mafia è già fascismo. Idea non infondata, evidentemente: solo che occorreva incorporare la mafia nel fascismo vero e proprio. Ma la mafia era anche, come il fascismo, altre cose. E tra le altre cose che il fascismo era, un corso di un certo vigore aveva l'istanza rivoluzionaria degli ex combattenti dei giovani che dal Partito Nazionalista di Federzoni per osmosi quasi naturale passavano al fascismo o al fascismo trasmigravano non dismettendo del tutto vagheggiamenti socialisti ed anarchici: sparute minoranze, in Sicilia; ma che, prima facilmente conculcate, nell'invigorirsi del fascismo nelle regioni settentrionali e nella permissività e protezione di cui godeva da parte dei prefetti, dei questori, dei commissari di polizia e di quasi tutte le autorità dello Stato; nella paura che incuteva ai vecchi rappresentanti dell'ordine (a quel punto disordine) democratico, avevano assunto un ruolo del tutto sproporzionato al loro numero, un ruolo invadente e temibile. Temibile anche dal fascismo stesso che - nato nel Nord in rispondenza agli interessi degli agrari, industriali e imprenditori di quelle regioni e, almeno in questo, ponendosi in precisa continuità agli interessi «risorgimentali» - volentieri avrebbe fatto a meno di loro per più agevolmente patteggiare con gli agrari siciliani e quindi con la mafia. E se ne liberò, infatti, appena, dopo lì delitto Matteotti, consolidatosi nel potere: e ne fu segno definitivo l'arresto di Alfredo Cucco (figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Duggan e Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi).
Nel fascismo arrivato al potere, ormai sicuro e spavaldo, non è che quella specie di sillogismo svanisse del tutto: ma come il fascismo doveva, in Sicilia, liberarsi delle frange «rivoluzionarie» per patteggiare con gli agrari e gli esercenti delle zolfare, costoro dovevano - garantire al fascismo almeno l'immagine di restauratore dell'ordine - liberarsi delle frange criminali più inquiete e appariscenti.
E non è senza significato che nella lotta condotta da Mori contro la mafia...
Le guardie del feudo
non è senza significato che nella lotta condotta da Mori contro la mafia assumessero ruolo determinante i campieri (che Mori andava solennemente decorando al valor civile nei paesi "mafiosi"): che erano, i campieri, le guardie del feudo, prima insostituibili mediatori tra la proprietà fondiaria e la mafia e, al momento della repressione di Mori, insostituibile elemento a consentire l'efficienza e l'efficacia del patto.
Mori, dice Duggan, «era per natura autoritario e fortemente conservatore», aveva «forte fede nello Stato», «rigoroso senso del dovere». Tra il '19 e il '22 si era considerato in dovere di imporre anche ai fascisti il rispetto della legge: per cui subì un allontanamento dalle cariche nel primo affermarsi del fascismo, ma forse gli valse - quel periodo di ozio - a scrivere quei ricordi sulla sua lotta alla criminalità in Sicilia dal sentimentale titolo di Tra le zagare, oltre che la foschia che certamente contribuì a farlo apparire come l'uomo adatto, conferendogli poteri straordinari, a reprimere la virulenta criminalità siciliana.
Rimasto inalterato il suo senso del dovere nei riguardi dello Stato, che era ormai lo Stato fascista, e alimentato questo suo senso del dovere da una simpatia che un conservatore non liberale non poteva non sentire per il conservatorismo in cui il fascismo andava configurandosi, l'innegabile successo delle sue operazioni repressive (non c'è, nei miei ricordi, un solo arresto effettuato dalle squadre di Mori in provincia di Agrigento che riscuotesse dubbio o disapprovazione nell'opinione pubblica) nascondeva anche il giuoco di una fazione fascista conservatrice e di un vasto richiamo contro altra che approssimativamente si può dire progressista, e più debole.
Sicché se ne può concludere che l'antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile non perché assiomaticamente incontrastabile era il regime - o non solo: ma perché talmente innegabile appariva la restituzione all'ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi ragione e sotto qualsiasi forma, poteva essere facilmente etichettato come «mafioso». Morale che possiamo estrarre, per così dire, dalla favola (documentatissima) che Duggan ci racconta. E da tener presente: l'antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando.
E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi - in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei - come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall'acqua che manca all'immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un'azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia Cristiana: «et pour cause», come si è tentato prima dl spiegare. Questo è un esempio ipotetico.
Ma eccone uno attuale ed effettuato. Lo si trova nel «notiziario straordinario n. 17» (10 settembre 1986) del Consiglio Superiore della Magistratura. Vi si tratta dell'assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica a Marsala al dottor Paolo Emanuele Borsellino e dalla motivazione con cui si fa proposta di assegnargliela salta agli occhi questo passo: "Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dott. Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da pane del più giovane aspirante".
Per far carriera
Passo che non si può dire un modello di prosa italiana, ma apprezzabile per certe delicatezze come «la diversa anzianità», che vuoi dire della minore anzianità del dottor Borsellino, e come quel «superamento», (pudicamente messo tra virgolette), che vuoi dire della bocciatura degli altri, più anziani e, per graduatoria, più in diritto di ottenere quel posto. Ed è impagabile la chiosa con cui il relatore interrompe la lettura della proposta, in cui spiega che il dottor Alcamo -che par di capire fosse il primo in graduatoria - è «magistrato di eccellenti doti», e lo si può senz'altro definire come «magistrato gentiluomo», anche perché con schiettezza e lealtà ha riconosciuto una sua lacuna «a lui assolutamente non imputabile»: quella di non essere stato finora incaricato di un processo di mafia. Circostanza «che comunque non può essere trascurata», anche se non si può pretendere che il dottor Alcamo «piatisse l'assegnazione di questo tipo di procedimenti, essendo questo modo di procedere tra l'altro risultato alieno dal suo carattere». E non sappiamo se il dottor Alcamo questi apprezzamenti li abbia quanto più graditi rispetto alta promozione che si aspettava.
I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di «magistrato gentiluomo», c'è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?
Leonardo Sciascia
da «Il Corriere della Sera» del 10 gennaio 1987

lunedì 29 giugno 2009

domenica 28 giugno 2009

sabato 20 giugno 2009

Viva Abberlusconi

Per una volta dobbiamo ringraziare La7. Come in tutte le reti la vera informazione passa a fatica, i salotti buoni dominano anche le televisioni. E pensare che c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di citare il fantomatico conflitto d'interessi. Ebbene, proprio su La7 - in mezzo ai soliti lobbisti, uomosessuali e costituzionalisti vari - è possibile ascoltare la voce di un rappresentate del popolo, quel popolo a parole tanto difeso dalle sinistre ma sempre dimenticato quando si tratta di passare ai fatti, che sa dispensare parole sagge e condivisibili su chi oggi sta subendo attacchi d'inusitata ferocia. Non sono riuscito a rintracciare la trasmissione da cui proviene, ma chi se ne frega: l'importante è prestare attenzione a chi ha il coraggio di difendere l'amico di "chef, operai, dipendenti, mendicanti, poveri: insomma, di tutti". Di tutti coloro che combattono ogni giorno per la rivoluzione liberale.

Da stampare e conservare

Caro direttore, salvare Catilina, salvare la Repubblica. Roma, I secolo A. C.: Lucio Sergio Catilina è un patrizio romano, uomo coraggioso e di parola. In breve tempo percorre con inaspettato successo tutta la carriera politica, coltivando idee di giustizia sociale e libertà. Per tre volte tenta di raggiungere la carica di console, massima autorità repubblicana, spinto da un consenso popolare straordinario frutto di posizioni anticonformiste, progetti di riforma e profondo senso della Patria.
Per tre volte i poteri forti del tempo utilizzano tutti i mezzi, leciti ed illeciti, per combatterlo e sconfiggerlo. Nella Roma del 50 a.C. esisteva una norma molto lontana dall'attuale concezione del diritto, che alcune moderne marionette del giustizialismo italico vorrebbero applicare anche alla nostra democrazia: ai cittadini romani anche solo inquisiti veniva impedito l'accesso ad ogni carica pubblica. Ed è sulla base di questa norma che Lucio Sergio Catilina viene per due volte accusato di nefandezze a pochi giorni dalle elezioni, interdetto e poi assolto dopo il voto. Ma a chi vede in Catilina e nel suo partito un pericolo troppo grande per i propri interessi, l'esclusione anche solo temporanea del «rivoluzionario conservatore» non può bastare: occorre distruggerne il consenso per intero. Il compito viene affidato al più famoso e abile avvocato del tempo, Marco Tullio Cicerone, alla sua spregiudicatezza e alla sua straordinaria capacità di falsificare i fatti. Cicerone trasforma Catilina in un hostis, un nemico della Patria, servendosi dei più efficaci strumenti dell'epoca: dalle accuse basate su lettere anonime, ai brogli elettorali, ai discorsi retorici tesi a costruire l'immagine più degenerata del suo avversario, fino alle palesi violazioni della legge romana. Tra le accuse più infamanti, Cicerone imputa a Catilina di aver corrotto una giovane vestale, vergine e consacrata alla dea del focolare.
Ci spostiamo di oltre 2000 anni. Al famoso avvocato pensano di sostituirsi procure politicizzate e redazioni di giornali. Al posto delle orazioni di Cicerone, si ascoltano i teoremi mediatici e giudiziari, si assiste all'uso spesso indecente di foto, video e intercettazioni. La tentazione è sempre la stessa: demonizzare il «rivoluzionario conservatore» di oggi. Gli optimates di ieri che armarono le azioni di Cicerone erano i rappresentanti di una classe senatoriale gelosa custode di privilegi politici ed economici; gli optimates che violentano le regole di oggi sono potentati senza patria, politici mediocri e polverosi intellettuali. Il potere non accetta gli imprevisti e spesso i grandi riformatori, gli uomini in grado di cambiare la storia, si presentano all'appuntamento senza bussare. Questo li rende inaccettabili.
Ma la storia maledice il suo ritorno. Il suo tragico fugge davanti alla farsa in cui si trasforma. E così accade che oggi, per distruggere l'uomo che sta cambiando l'Italia, si è persino disposti a distruggere l'Italia stessa. Minando la fiducia nelle istituzioni che quell'uomo rappresenta, il valore di una democrazia fondata sul consenso popolare, l'immagine di una nazione all'estero e la percezione che il Paese ha di se stesso. Si è disposti a far precipitare la dignità nazionale dentro il buco di una serratura. Un'opera di demolizione che non dovrebbe giovare a nessuno. O forse sì. Quando l'avversario politico viene trasformato per forza in un nemico della patria, quando diviene normale distruggerne il nome, la famiglia, gli amici, i collaboratori, la vita stessa, quando trionfano coloro che accusano per mestiere, con illazioni e teoremi, dietro il velo di un'informazione che è spesso solo fango, allora il diritto scompare, le Repubbliche cadono, le libertà civili si spezzano e i Cesari, quelli veri, arrivano di lì a poco.
Deborah Bergamini
Corriere della Sera - 18 giugno 2009

giovedì 11 giugno 2009

mercoledì 10 giugno 2009

PDL transnazionale

Poco più di dieci anni fa le sinistre imperversavano in tutto il pianeta: da Jospin a Clinton, da Schroeder a Ocyalan. Per non parlare dell'Italia, sotto la morsa di Prodi e Cossutta. Qualcuno parlò di Ulivo mondiale e quella breve stagione spianò la strada alle stragi di Al-Qaeda e alla pederastria sovvenzionata dallo stato. Ma il vento è cambiato ed è lecito parlare ora di PDL mondiale: merito del ribelle Silvio Berlusconi e del suo asse con Putin e Gheddafi (modi diversi di declinare in maniera locale i valori che animano il Popolo delle libertà) che tanto fa tremare i salotti buoni della conservazione. Sarebbe bello ringraziare il Presidente del Consiglio assegnandogli l'amministrazione controllata del paese: dieci anni senza inutili consultazioni elettorali e tutti i poteri per liquidare i vecchi riti della democrazia partitocratica. E chissà che magari Kakà non possa tornare al Milan.

venerdì 5 giugno 2009

Francescreen

Si chiama Francescreen ed è la dimostrazione di come l'art.21 Cost. altro non sia che un boomerang per le sinistre.

venerdì 8 maggio 2009

Ciao Budget, prete "contro"

"L'Italia perde un intellettuale libero e coraggioso, capace di andare controcorrente rispetto al cosiddetto establishment politico-culturale. Gianni Baget Bozzo ha saputo attraversare e contrastare stagioni culturalmente cupe, segnate da un cattocomunismo a cui non volle mai arrendersi, scegliendo e alimentando sempre un'alternativa culturale e politica nel segno della liberta': negli anni bui del compromesso storico Dc-Pci, camminando fianco a fianco con il riformismo di Bettino Craxi; negli anni della 'gioiosa macchina da guerra', scommettendo sulla rottura positiva incarnata da Silvio Berlusconi. La sua e' una lezione di lucidita' intellettuale e di coraggio civile, della quale bisognera' serbare a lungo la memoria" - Daniele Capezzone

Appunti di viaggio

Qualche breve riflessione su questo scorcio di 2009 troppo avaro di liberalismo: su Giornalettismo, come di consueto.

mercoledì 6 maggio 2009

Mobilitiamoci su Facebook

I tempi sono maturi per superare la legge sul divorzio, uno dei totem della sinistra laicista superati dalla Storia.
Se l'anno scorso la campagna di Ferrara contro l'aborto di Stato fu un po' avventata ora vi sono le condizione perché si possa rimettere in discussione con profitto una nuova idea di famiglia, che tenga anche conto dell'eredità politica e civile di Fanfani e Almirante.
In tempi di amore liquido il divorzio statalmente assistito non rappresenta una risposta sostenibile, piuttosto una facile scappatoia nel libero giuoco degli affetti. Lasciamoci alle spalle il moralismo torinese di stampo azionista, costruiamo una legge che sappia fare i conti con la modernità rimanendo nel solco della tradizione. O forse vogliono farci credere che prima della Fortuna-Baslini l'Italia era governata da un perfido regime in continuità con il tanto vituperato ventennio fascista?

venerdì 6 marzo 2009

venerdì 30 gennaio 2009

Una lezione di libertà

“Da qualche giorno  fior di liberali e di laici stanno di fatto schierandosi a favore della scomunica. La cosa mi sorprende. Non c’è niente di meno liberale e laico della scomunica. (...) Non c’è niente di meno liberale del reato di opinione”
Antonio Polito, il Riformista - 28.1. 2009

mercoledì 28 gennaio 2009

Diritti e rovesci

Un nuovo pezzo per Giornalettismo.

Craxi e De Andrè: due vite parallele

Chissà se si incontrarono, Bettino e Faber. Chissà cosa si dissero. Bobo ha raccontato di recente al Magazine del Corriere della sera quelle magiche serate fatte di musica e speranza, quando negli anni settanta Casa Craxi ospitava cantautori promettenti (Dalla, Ron) e star di chiara fede riformista (Vanoni, Paoli). Una volta capitò anche De Andrè. E ci piace pensare che “il bandito e il poeta” si siano conosciuti e apprezzati proprio in quella occasione, per mai più vedersi. Entrambi ignoravano quanto sarebbe loro spettato, i successi e i dolori, quel destino comune che li ha visti spegnersi a pochi giorni di distanza dieci anni or sono. Consapevoli però di avere in comune qualcosa di profondo. Diversi elementi legano queste due figure simbolo della sinistra dissidente italiana: una lettura attenta delle loro biografie permette di considerarle due vite parallele, tracciare paragoni tutt’altro che arditi, riconoscerle come anime in sintonia anche se i loro percorsi di vita non si sono più incrociati pubblicamente. Entrambi hanno rotto tabù. I loro universi poetico-politici erano popolati da perdenti, malfattori, prostitute, nani, ballerine, imprenditori, zingari, mariuoli e ministri delle partecipazioni statali: tutto un mondo schiacciato dalla pesante cappa del moralismo comunista allora imperante. Le ansie di libertà cantate dall'artista genovese nei grigi anni sessanta hanno poi trovato risposta nella tenace battaglia contro la mostruosa scala mobile. Certi dischi avevano un valore profetico. Il più politico fu “Storia di un impiegato”, concept album in cui già si vedeva il pubblico impiego come potenziale vivaio per futuri terroristi. E che dire de “La buona novella”? Un discreto shock per gli atei militanti, quelli che hanno osteggiato quel capolavoro di laicità che fu il rinnovo del Concordato. Lo stesso Bettino, laico ma non laicista, diede il nome di “Vangelo socialista” al suo programma neoproudhoniano. Ci sarebbe da scrivere una bella tesi sulla figura di Cristo in De Andrè, Pasolini, Craxi e - perché no? - Capezzone, ma i nostri giovani studenti sono troppo impegnati a discettare di new wave punk e pellicole dell’orrore. “Il quinto dice non devi rubare / e forse io l’ho rispettato / vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie / di quelli che avevan rubato: / ma io, senza legge, rubai in nome mio, / quegli altri nel nome di Dio.” Gli anni ottanta sono quelli della svolta: un ponte sul mediterraneo per creare la World Music, recuperando suoni e sapori di diversi continenti, e basi nuovi per creare una politica d’aiuto verso i paesi in via di sviluppo, con mercati finalmente aperti. E sarà proprio al di là del Mediterraneo che rimarrà il grande statista. Tradito dal proprio paese e mandato in esilio forzato, così lontano eppure così vicino all’esperienza che De Andrè attraversò durante il sequestro ordito da un manipolo di banditi sardi… “E poi scuse / accuse e scuse / senza ritorno”. Quando ci fu il colpo di stato “non si udirono fucilate”, come nella “Domenica delle salme”. Mario Chiesa, il poeta della Baggina, fu solo il primo. Nel giro di pochi mesi venne spazzata via un’intera classe politica, con una precisione e violenza degne di miglior causa. Il flagello di Mani pulite si portò via partiti interi, ammanettando il voto degli italiani. La gioiosa macchina da guerra (di coloro che si credevano assolti, ma erano pur sempre coinvolti) preparava l’assalto finale alle stanze del potere e solo i più lucidi allora si ricordarono di una vecchia canzone di Fabrizio, “Il giudice”: lo spietato ritratto di certa magistratura le cui azioni sono mosse più dal rancore che dall’anelito di giustizia. Ci mancano quelle canzoni come ci manca quella politica: cosa direbbero oggi del coro in sostegno dell’arroganza israeliana l’autore di “Sidun” e l’amico di Arafat? Sempre in direzione ostinata e contraria, senza la paura di prendere quella che viene definita dai più “la cattiva strada”. Bettino e Faber, è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.

[Originariamente pubblicato su Giornalettismo il 5 - 1 - 2009]

Una grazie a Pigi Diaco.

venerdì 16 gennaio 2009

giovedì 15 gennaio 2009

Le notti bianche

"Il guidatore è pieno d'oro e di sangue, maledice e stramaledice". Formidabile pezzo di Renato Farina su Libero di oggi, una illuminante short story dal sapore dostoevskijano.

In tempi di vacche magre lo stato ingrassa

Cucù, la camorra non c'è più

Gomorra è fuori dagli Oscar. Evidentemente le chiacchiere di casa nostra non riescono a superare i confini nazionali: a Hollywood per fortuna si ricordano che cos'è il vero cinema.

lunedì 5 gennaio 2009

Il bandito e il poeta

Vogliate gradire due righe in ricordo di due straordinarie figure eretiche, Bettino e Faber, e delle loro vite parallele, su Giornalettismo.

domenica 4 gennaio 2009

Lacci e lacciuoli

Ecco l'ultimo grido d'allarme della cosidetta "antimafia": molti terreni confiscati alla criminalità organizzata verrebbero riacquistati dagli stessi cattivissimi cavalieri del male mediante infidi prestanome. Insomma, questo 2009 comincia con tanti paletti sul mercato e il ritorno dei soliti pretesti per frenare quella speditezza degli affari che dovrebbe informare il nostro ordinamento.